giovedì 13 settembre 2012

Elucubrazione precoce




Fra poco devo andare in palestra. Ho un orario preciso da rispettare, perché voglio cercare di incastrare il nuoto libero con un po’ di calistenica, e il tutto appena dopo aver digerito il pranzo. Devo ingannarlo, questo tempo, a maggior ragione contando che quelle fette di pane abbrustolito dimenticate sul tavolo hanno inequivocabilmente il culetto rivolto verso il barattolo di Nutella. Per quanto, ci sarebbero pure quelle piadine precotte nel frigo… il quale frigo – “Frizz”, per dirla con un libro della Tamaro – gocciola da quando ho stuzzicato il regolatore di temperatura. Speriamo che le piade non si sciupino, via!

Resistenza!

E poi non avrei voglia di mettermi a scaldarle sulla piastra. Sì, ok, nella mia vita ne ho mangiate anche di crudognole: sono più indigeste, ma sembra che facciano meno male. Come tutti i farinacei cotti, del resto. Una volta un dottore mi raccontò che la pastasciutta, ad esempio, è sempre meglio cuocerla un poco di meno invece di lasciarla scuocere. E non è solo questione di gusto: pare proprio che in cottura si liberi una sostanza – del cui nome so ‘na sega – che irrita le pareti gastriche.

Guardo l’orologio: ormai è questione di minuti; anzi, sarà meglio che mi sbrighi a preparare il borsone completo di tutto l’occorrente. Un giorno, poi, dovrò decidermi pure a pulirlo, ‘sto borsone, o a buttarlo. È che non so scindere l’odore di spogliatoio, muffa, sudore, vapore, fiori secchi?, dal concetto di attività fisica, aerobica o anaerobica che sia.

Ziip… Fatto! Non rimane che cercare altri diversivi. Un saltino su YouTube e vedo tra i video consigliati quelli con Daniele Luttazzi, accanto a quelli contro Daniele Luttazzi. Luttazzi plagiatore? Sembrerebbe. Alcuni sketch possono considerarsi omaggi, ma non viene ringraziato nisuno degli omaggiati. Picasso diceva che il vero genio arrubba… Penso si riferisse al fatto di vedere qualcosa di valore laddove il mediocre non ce lo vede, e quindi sottrarlo “alla zitta”. Uno difende Luttazzi, adducendo che contestualizza in salsa tricolore battute d’Oltreoceano. Ma, a parte costui, giovane promettente attore di teatro – presumo -, gli altri amici famosi del comico sono evasivi. Quando, infatti, qualcuno chiede loro pareri in merito, si trincerano più o meno elegantemente dietro la questione della categoria d’appartenenza, dietro il politically correct, dietro qualche “parabola” usata ad hoc… Insomma, non si esprimono. Benché trasudi la loro opinione, così come la loro solidarietà amicale. Comunque, chìssene.

Penso “chìssene” e mi viene in mente Kissinger. Penso Kissinger e mi viene in mente il maccartismo. Forse in relazione al diktat bulgaro, di cui il comico succitato fu vittima. Fatto sta che mi viene in mente pure quel film di Woody, “Il prestanome”, che tanto vorrei rivedere. E mi viene in mente anche “Basta che funzioni” (che storpio sempre con malefico piacere in “Basta che funziona”), dove il genio incompreso dice che se è vero che per vivere bene bisogna consumare frutta e verdura nove volte al giorno, beh… lui preferisce non vivere. È un po’ il mio caso, visto che oggi mi opprime l’obbligo morale di recarmi in palestra, perché oggi, proprio oggi, ho sbafato troppi carboidrati.

Bene, è l’ora.

Ma ecco che una piacevole melodia giunge ai miei padiglioni: un insieme di notte di sottofondo, a cadenza tanto regolare che in un primo momento mi era venuto naturale ignorarle. Riesco a immaginare il mondo se mi concedo di planare sulle sfumature dei perimetri poligonali disegnati dal rimbalzo acustico, come “Daredevil”.

Guardo fuori dalla finestra: piove. Yesss! Peraltro, potrei uscire con l’ombrello, ma mi accorgo che sarebbe spiacevole, sconsigliabile… - ah, il caro, vecchio, confortante buonsenso! -, perché piove “a vento”. L’invenzione cinese in questi casi non funge. Sì, perché l’ombrello in realtà è cinese, solo che da principio aveva le punte rivolte verso l’alto, non verso il basso. Praticamente i troiai che, non appena schizzichea (Wertmüller, do you remember?), i venditori ambulanti tirano fuori come assi dalle maniche (mica gli ombrelli di una volta, che costavano anche 100000 lire ma ti duravano un casino! direbbe nonno): goffamente leggiadri, come il parmigiano che, sudato, tenta di disturbare il meno possibile il crostino ospitale, durante quegli aperitivi in piedi che si fanno fuori dai ristoranti prima dei pranzi matrimoniali (ah, ecco dove l’ho sentita: da Brignano!). Che l’ombrello nacque in Cina lo appresi da piccolo ne “Il Milione” realizzato (non “fatto”) dalla Disney: copertina in cartoncino rigido, ganzo, quanto ci tenevo! Chissà dove sarà finito ora..?! Ricordo che fecero pure “I promessi paperi”, ma non ebbi mai modo di acquistarlo. Sarà stata, forse, la tensione nei confronti di quella mancanza, ad ispirarmi in seguito la tesi di laurea sul Manzoni? Cazzate.

Guardo di nuovo fuori e noto un natante nella pioggia che s’è permesso di privarmi di ogni scusa possibile per non sortire il muso fòra (latinorum, no grazie). Il bastardo si aggira nella mia coscienza con addosso un fastidiosamente pratico k-way, ma tipo mantella. Di quelli, insomma, che arrivano fino alle ginocchia, che usa anche Nanni Moretti quando viaggia in Vespa in “Aprile”. Tanto, però, - ora che ci penso – in casa ne sono sprovvisto.

Raschio il fondo della mia calotta cranica e – extrema ratio! – valuto di poter arrivare alla EGO (questo il nome della mia meta) correndo, come Forrest Gump, ma con meno convinzione. Potrei anche considerarlo una specie di pre-riscaldamento. Io sono fatto così, senza mezze misure: passo dal pensiero di non fare un beneamato a quello di strafare, un po’ come lo zio di “Amarcord” che raggiunge a nuoto, tanto per, la barca su cui i paesani avrebbero ammirato nottetempo l’imperiale Rex. Forse, però, il fugone non è una buona idea. Una volta, infatti, lessi su Focus che correndo sotto la pioggia ci si bagna di più, perché l’acqua cade pure sulle gambe, cosa che, invece, non si verifica se si procede con compostezza. Davero-davero, posso abbushcarmi un malanno?

Va beh, dai, a Roma quando piove viene improvvisa e dura poco. Basta attendere. E, nell’attesa, approssimarsi al barattolo di Nusscreme. È, questo, il vecchio nome del brown gold – cosa s’è perso Proust! -. Lo so perché mia nonna tiene ancora ago e filo dentro un vecchio barattolo, incredibilmente grande, nel quale, a detta sua (io vado a fiducia come un cieco col suo cane), si conservava la crema alle nocciole, separata da un foglio di carta-forno. Ed esternamente il recipiente reca il nome suddetto, criptico per molti itaGliani del-tempo-che-fu, ma estremamente esplicito per il consumatore crucco. Comunque eloquentemente indicativo, per ogni pargolo, di una luminosa palingenesi, tale da squarciare, col proprio segno, un intero pomeriggio o, forse, addirittura una settimana.

Il dado è tratto. Anzi, farò bene a sbrigarmi nel prepararla, questa maledetta piadina, se no rischio davvero che la pioggia finisca in quattro e quattr’otto.

Di ritorno da un’amnesia, mi accorgo di aver onorato il vizioso desco e lecco con scrupolo il coRtello (il bagno non lo posso più fare), più per completezza che per bramosia. Il soddisfacimento presto scema e non mi compiaccio: mi sono reso colpevole di aver assecondato, né più né meno, un bisogno di divertissement e di ritualità. Capisco la forza rassicurante delle tradizioni/superstizioni religiose.

Riavvolgo i pensieri e realizzo quanto stimoli esterni di esperienze indirette, compresi Lumière Bros. e tubo catodico, mi hanno (usiamo pure l’indicativo) contaminato considerazioni, opinioni, conclusioni. Oltre Locke. Ripenso ad una bibliotecaria, che quando ero piccolo mi disse che sua figlia leggeva tanti libri e per questo andava bene nei temi: - perché i libri aprono la mente – diceva, - invece la televisSione allena la memoria a breve termine, a scapito di quell’altra, quella a lungo termine. Per non parlare della prepotenza didascalica dell’ ipse dixit televisivo, per citare Pasolini. –

Magari era vero. Cioè, no, senz’altro era vero. Ed è vero. Come è vero, secondo me, che occorre giustapporre un ulteriore comandamento, un necessario secondo step (non Scamarcio), onde evitare di ridursi come Matt Damon in “Will Hunting”: dopo aver ingoiato, si deve metabolizzare. Si deve rielaborare, rendere unico nella forma, a prescindere dal contenuto. Perché è pur vero, come dice Benigni nel suo ultimo film quando finge di schiaffeggiare Brecht, che la cosa più banale del mondo è sforzarsi di essere originali; allo stesso modo, tuttavia, è bene ricordarsi di Carmelo Bene, quando vituperava (e lo fa tuttora) il prevedibile e assistenzialistico “citarsi addosso” tipico della rappresentazione borghese in senso lato.

Un accenno di traspirazione. Sarà la digestione che riprende. Quasi quasi accendo mezzo tosco, perché intero – dice – fa male.

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