giovedì 28 marzo 2013

Ultima puntata di “S’è fatta notte”

Terminata la stagione del programma firmato da Maurizio Costanzo ed Enrico Vaime


“Ha da passà ‘a nuttata!” 
Così si faceva forza Eduardo De Filippo in “Napoli milionaria”, con lo sguardo di chi abbia un lungo percorso davanti a sé, ma riesca a scorgere in lontananza la meta di un nuovo giorno. “S’è fatta notte”, invece, naviga su una filosofia differente; anzi, si può dire, senza negatività alcuna, che è ormai approdato al lido. Qui l’atmosfera è rilassata, non tende a nulla e sa rifuggire la nostalgia. Il tramonto anagrafico – non cerebrale! – di Costanzo e Vaime è da essi vissuto con autoironia e un che di grottesco. Già compagni di sconfitta arteriosclerosi in “Italia mia. Esercizi di memoria”, sono loro i veri ospiti di se stessi. Salvo eccezioni (l’egoico Vittorio Sgarbi, per esempio), l’ospite di turno, in fondo, cambia poco l’assetto del programma: si tratta ogni volta di persona arcinota, della quale noi spettatori presumiamo di conoscere lo spirito, vita-morte-e-miracoli. 
“Sor Quinto Potere”, la silhouette di uno scivolo, adagiato a mo’ di chaise longue su una volgare seggiola da bar, ci fa capire che abbiamo torto a voler cambiare canale. In effetti, ci si appassiona sempre, nella convinzione di aver appreso qualche novità. Trattasi esclusivamente di fallace percezione. Tuttavia, la televisione è questo: una sinestesia che inganna l’occhio e l’orecchio (sempre squillanti o caratterizzate le voci degli ospiti), dove 0 + 0 + 0 + 0 fa sempre qualcosa, o almeno così sembra. E va saputa fare bene questa magia, occorrono metodo e professionalità. Non importa se si è anziani, se le camicie collo-fit rimangono un vago ricordo o se Enrico Vaime, dismessi i panni di puntuto opinionista balbuziente di La7 e improvvisato cameriere, ha fastidio ad indossare il papillon richiesto dalla divisa. Semplice la pantomima dell’esercizio in chiusura: le note di Gino Paoli (già ospitato, difatti), l’insegna al neon dei tempi che furono, una bicicletta modello “Graziella” sullo sfondo, le pastarelle rinsecchite. Poco importa se Costanzo si esprime a morsi e bocconi. Chissenefrega se, anziché parlare in maniera intelligibile, egli piuttosto ricorda i versi emessi dall’animale di “W la foca”, l’ultimo film degli anni ’70, però dell’82 (regia di Nando Cicero, sosia di Vaime). Fatalità, in quella pellicola Franco Bracardi (fratello di Giorgio), nel ruolo di un improponibile clochard, domandava a Lory Del Santo, bàlia della succitata foca baffuta: “ma chi è? Er fijo de Costanzo?” Poco dopo il senzatetto sarebbe stato promosso ai gradi di pianista/pinguino, di pastello vestito, al Parioli, per chiosare coi tasti bianchi e neri il Morfeo dei coniugi italiani. Ah, la stessa Lory Del Santo è stata recente ospite di “S’è fatta notte”. 
Oggi Costanzo, speleologo della narice, formula domande ricorrenti, con le “i”: “una tua Intemperanza? Una tua Insofferenza?” Talvolta, addirittura, si limita a fornire un intuibile abbrivio a chi gli stia di fronte. Stancamente (degno della mezzanotte di sabato in cui va in onda), viene fatta la sola cosa invero nelle forze dei conduttori. Non di meno, a farlo sono due tra le poche persone in grado di suscitare un discreto interesse di audience senza che la cosa appaia studiata. Dobbiamo immaginare, infine, la spettatrice in incipiente menopausa, che ricorda Sandra Milo quando ancora frequentava Fellini, che la udì gridare disperata “Ciro! Ciro!” e che la vide senza trucco né inganno all’Isola dei famosi. Una spettatrice alla ricerca di quiete - mica noia! -, praticamente dello stesso silenzio che si cerca nella lettura di un libro già letto: che sollevi dallo sforzo di una totale e brutale novità, ma che regali una sfumatura inaspettata, ancorché, paradossalmente, anelata. Nel compiacente riconoscimento tautologico del confort adatto a stemperare la buriana di una crisi che non finisce più. 


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